mercoledì 10 agosto 2011

Chi lo legge questo libro? Paola, una settimana lunga una vita

 
Paola

Con Paola facciamo un salto indietro nel tempo: proviamo in qualche modo a ricominicare dall'inizio.
Paola nasce negli anni Sessanta, in un mondo che è totalmente impreparato ad accoglierla. La sua infanzia attraversa scenari di amarezze, ingiustizie che adesso sembrano lontane anni luce ma che non è affatto giusto dimenticare. Al margine del racconto di suo padre si intuiscono i primi vagiti della neonata associazione Trisomia 21, in un periodo che sembra quasi di frontiera, per un gruppo di persone che farà da apripista a quelli che saranno i progressi da compiere nel tempo, passo dopo passo, tutti assieme. Paola compresa. 

Ho assistito a situazioni che raccontate adesso fanno accapponare la pelle.
Sono nato nel 1920, tra un po' avrò novant'anni, e anche se certe cose non le ho vissute da protagonista le ho viste vicino a me, con i miei occhi. E' giusto ricordarle. E' giusto non dimenticare che in un passato piuttosto recente i ragazzi diversi erano segregati. Chiusi nelle stanze, con le finestre stangate, perché non dovevano uscire né si dovevano affacciare fuori. Erano reclusi. Se in una famiglia c'era un ragazzo con dei problemi, e non mi riferisco soltanto a soggetti Down ma a qualsiasi forma di handicap o diversità, lo rinchiudevano in modo che il vicino di casa, l'amico, il parente non lo vedessero. Specie nelle campagne, dove tra l'altro si poteva nasconderlo con meno problemi. Meglio ancora se in giro non si sapeva neanche della sua esistenza. E se qualcuno di questi ragazzi, per caso, riusciva a evadere dalla sua segregazione, diventava lo zimbello di tutti.

Mia figlia Paola è del 1963. In quel periodo forse le cose cominciavano a cambiare, ma con poca fretta. Diciamo che le finestre cominciavano perlomeno ad aprirsi, poco più. E' nata a Firenze, a Villa Donatello, in una notte di maggio. Ero presente al parto e subito, quando la vidi, mi accorsi della situazione. Sul posto non era presente il medico, c'erano soltanto un'ostetrica e un'infermiera, che lì per lì non vollero dirmi niente, né io insistetti troppo per non spaventare mia moglie. Era mezzanotte. La mattina dopo andai subito al Meyer a cercare un dottore che venisse a vedere la bambina, e per fortuna ne incontrai uno che già conoscevo. Gli spiegai la cosa e quando gli dissi che in Villa Donatello non c'era un medico accettò di venire via con me. Cinque minuti dopo eravamo da mia figlia, che tra l'altro era nata con una grave malformazione al cuore, un problema che adesso verrebbe risolto con un intervento ma per cui allora si moriva. Bastava toccarla che diventava subito cianotica, davvero bastava niente. Si intuiva che la situazione era delicatissima e drammatica. Il medico la visitò e ci disse appunto che non c'erano possibilità per intervenire e migliorare la patologia. E ci confermò la sindrome di Down.
Ricordo che mentre scendevamo le scale, mentre lo riaccompagnavo via, mi disse che la bambina non sarebbe vissuta più di una settimana. Questa sua frase in qualche modo mi rincuorò, mi sollevò il peso dell'anima. Veramente.
Menomale, pensai. Menomale morirà presto, poveretta, perlomeno non soffrirà, sia per quanto riguarda il cuore, sia per quanto riguarda il resto. E' atroce pensarlo adesso, ma in quel momento pensai così e mentre venivo verso casa ero combattuto, tra la disperazione e la speranza, perché allora era appunto una speranza quella che Paola morisse.

Me ne pento. Me ne sono pentito tante volte e anche adesso me ne pento, con forza, ma quel giorno fu così. Me ne pento perché invece, per fortuna sua, e mia, e di tutti noi, e adesso lo posso dire, quell'anomalia cardiaca con il tempo si è compensata da sola. Sembra impossibile a dirsi ma è andata così. Adesso Paola ha un cuore perfetto, normale in tutto e per tutto, che funziona benissimo.

Un mese più tardi richiamai lo stesso medico a rivedere al bambina.
"E' sempre viva?" fu la sua reazione.
La visitò di nuovo, era sempre nella stessa situazione, bastava muoverla, bastava un niente che diventava cianotica. Anche quella volta, mentre lo accompagnavo per andare via, disse che forse era stato un po' esagerato a dire che sarebbe vissuta soltanto una settimana. Sei mesi, mi disse, sei mesi non li passa. E devo dire che intanto, in quel tempo che era passato, era già scattato qualcosa in me, e già mi ero attaccato tanto a Paola, già non avrei più avuto la forza di sperare la sua morte. E comunque Paola superò quei sei mesi, e poi passò il primo anno e passarono i primi dieci, e adesso ne ha più di quaranta.



Siamo andati avanti, giorno dopo giorno, ed era proprio il tempo che passava a infonderci coraggio. Noi di certo non l'abbiamo reclusa, anzi, l'abbiamo subito portata fuori fin dai primi giorni. La accompagnavamo in giro, con il passeggino, in Piazza dell Cure, poi al Giardino dell'Orticultura.
Proprio lì è avvenuto un fatto che dà l'idea di quello che ancora era il clima nei confronti dei ragazzi diversi.
Paola era ancora piccolina, aveva pochi anni, e quando vedeva i coetanei giocare era normale che gli andasse incontro, che volesse stare con loro. Ricordo che si incamminò verso una panchina dove giocavano due bambini e vedemmo subito la mamma correre a ripernderli e portarli via. Come se Paola potesse mangiarseli, sciuparli. Una brutta scena da vivere e da raccontare, ma questi erano i fatti, così si comportavano molte persone. E neanche le giudicavo troppo perchè pensavo che semplicemente non conoscessero la situazione, non vivendola in prima persona, e non potessero capire.

Inserimmo Paola nell'unica scuola materna di Firenze dove accettavano i ragazzi handicappati. Li tenevano separati, per esempio durante il pranzo, dove non mangiavano insieme a tutti gli altri bambini ma venivano messi in un'altra stanza, Paola compresa. E fu proprio il direttore che a un certo punto decise che questa divisione non aveva senso e cominciò a farli mangiare tutti assieme perché potessero socializzare, stare insieme, insomma imparare a convivere. Anche per questo cambiamento ricordo una signora che quando andò a riprendere la figlia, e vide che era seduta accanto a un bambino Down la tolse dalla scuola e non ce la rimandò più. Era quello il modo di pensare. A noi queste cose facevano male, è ovvio che anche Paola le percepiva, ma comunque cercavamo sempre di distrarla, di farla vivere serena. 
Tra l'altro Paola fu una dei primi soggetti Down a essere inserita in una normale scuola elementare statale. Sul momento ci fu una vera e propria ribellione da parte degli insegnanti. Nessuno la voleva. Fu inserita in terza elementare. Per fortuna avevamo conosciuto uno psicologo che seguiva certe problematiche, e quando gli riferimmo che a scuola non volevano prendere Paola si arrabbiò molto, disse che "dovevano" prenderla, che era la legge a dirlo, che non dovevano farci problemi. Insomma non so cosa fece, se chiamò o andò di persona, fatto sta che il giorno dopo portammo Paola a scuola e trovammo l'ambiente totalmente cambiato. E fu presa a cuore da un'insegnante, una signora che davvero ci seppe fare, tanto che Paola la ricorda ancora. Non poteva stare troppo vicina a lei, seguirla direttamente, perché aveva venticinque ragazzi e ovviamente non c'erano ancora gli insegnanti di sostegno, però sapeva come consigliarla, come aiutarla a crescere. Per il resto si può dire che Paola ha fatto tutto da sé. Ha anche imparato a difendersi, con il tempo, dalle sciocchezze dei compagni di classe.

Ha poi fatto le scuole medie, e infine frequentò una scuola gestita dalla Provincia, dove insegnavano il restauro dei tessuti. Lì ha imparato a cucire, a riparare i tappeti, a fare dei ricami straordinari.
Con gli altri genitori dei ragazzi Down, in quegli anni, discutevamo e pensavamo che fosse giusto unirsi, fare qualcosa per dare un futuro migliore ai nostri figli.
Nel  1979 facemmo l'assemblea generale per la costituzione dell'Associazione, nella sala universitaria dell'ospedale Meyer. Eravamo assistiti già dalla professoressa Giovannucci, specializzata in malattie genetiche. Fu lei, tra l'altro, a trovare il nome di Trisomia 21. Tra molti di noi non ci conoscevamo neanche, ci vedemmo per la prima volta lì. Costituimmo l'Associazione e facemmo le elezioni per il primo consiglio e il primo presidente. Tofani.

Inizialmente la sede non c'era, era itinerante, ci riunivamo nelle case di uno e dell'altro. Poi il comune ci concesse la prima vera sede, anche se piccola, in via Erbosa, che aveva un particolare: la porta d'ingresso era un cancello, coperto con una sottile lamiera. Nell'inverno che ci abbiamo trascorso, nelle riunioni che tenevamo, più che parlare battevamo i denti, e forte.
La seconda sede fu presso l'istituto del Fuligno, in via Faenza, una sola stanza più confortevole ma ancora troppo piccola. Una cosa molto utile e molto apprezzata dai genitori, istituita in questa sede, fu un servizio medico esercitato gratuitamente.
Poi, un periodo di grande soddisfazione per me è stato tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio dei Novanta, un periodo di contatti con le varie associazioni locali e nazionali e di risultati concreti, come per esempio l'inserimento lavorativo di cinque ragazzi nelle amministrazioni comunali.
Una delle prime ad essere nominate per un possibile inserimento fu Paola. Quando provammo a dirle che si apriva questa possibilità, per lei, di cominciare a lavorare in Comune, ci rispose senza troppi entusiasmi, con una frase che era solita dire:
"Ora ci penso."
Ci pensò presto, e inizialmente la sua decisione non fu affatto positiva, anzi non voleva saperne di cominciare a lavorare. Diceva che per quanto la riguardava lavorava già abbastanza: con i suoi ricami, appunto, e poi in casa dove era già completamente autonoma, faceva tutto da sé. Neanche l'idea di poter avere un piccolo stipendio l'allettava più di tanto. Si decise infine a provare, convinta che se non le fosse piaciuto l'esperienza sarebbe finita nel giro di una mezza giornata.
Una mattina alle otto l'accompagnai al Comune e quando andai a riprenderla, alle due del pomeriggio, aveva già deciso di continuare, e ne era proprio contenta. Trovò subito una signora che le piaceva molto e che la accolse nel miglior modo possibile, e da allora non ha più smesso di lavorare lì, anzi è difficile tenerla a casa anche un solo giorno. Le piace andare a lavorare, ha sempre qualcosa da fare, si sente impegnata. Una volta poi, come Associazione, ci invitarono a un convegno, a Roma, dove uno dei notri ragazzi poteva raccontare in pubblico le sue esperienze. Quando ne parlai, a casa, subito Paola domandò se potesse andare lei. Le spiegai che sì, ci sarebbe potuta andare, ma di certo non a fare scena muta: avrebbe dovuto parlare, al convegno, prepararsi un discorso. Non si fece pregare e anzi buttò giù diverse pagine di appunti.
E insomma andammo a Roma e la vidi per la prima volta in questa veste del tutto diversa, che mi stupì. Si mise lì, seduta, tranquilla, e lesse la sua relazione davanti al pubblico ed ebbe un bel successo, cosa che poi ricapitò più avanti, pochi anni fa, a Firenze. Questo per dire che con il tempo si è fatta anche un po' spregiudicata, disinibita, non teme il confronto con gli altri, neppure con un pubblico più ampio, anzi sa prendere l'iniziativa, sa farsi intendere e rispettare.
La Paola che doveva vivere soltanto una settimana adesso è una ragazza indipendente, volenterosa, intraprendente, circondata da persone che le vogliono bene, con davanti la possibilità di viversi ancora tante soddisfazioni.





Maria Paola è indipendente


Elio, padre di Maria Paola, è stato il primo contatto, la prima persona con cui ho parlato quando è nata la mia bambina: aveva solo cinque giorni di vita. Le sue parole, che volevano essere d'incoraggiamento,  lasciavano intendere un velato senso di stanchezza, ma anche tanta speranza. E' stato per me un insegnamento. Un uomo di grande coraggio, Elio. Non possiamo che avere ammirazione e un grandissimo rispetto per chi è riuscito a raccontare, a scrivere, sentimenti così profondi e forti. Lui ha avuto l'onestà di ammettere ciò che noi, forse a nostro modo, abbiamo pensato almeno una volta nella vita, pentendocene come lui immediatamente dopo, ma non siamo riusciti a confessarlo neppure a noi stessi.
Grazie.

Continua...

Associazione Trisomia 21 Onlus
Chi lo legge questo libro? Persone e sindrome di Down
a cura di Emiliano Gucci
Mauro Pagliai Editore


www.at21.it





8 commenti:

  1. Cara Antonella, credo davvero che questo blog abbia un senso e sia utile anche ai "duri" quelli che "le lacrime sono cose da ragazzi". Io ho le lacrime ma sai già che non sono una dura. Non ho la sindrome di down però ai miei tempi la mia situazione di "bambina abbandonata" mi rendeva "diversa" e le mamme non volevano che le altre bambine parlassero e socializzassero con me. In fondo vedi che ai "grandi" basta poco per scrollarsi di dosso la responsabilità di qualcosa che non conoscono e che non sanno gestire, l'"ignoranza" è la piaga sociale.
    L'umiltà, basterebbe l'umiltà e la capacità di ammettere le debolezze come ha fatto con grande dignità il Signor Elio.
    Chissà cosa sta cucinando di buono Paola, secondo me è una ricetta "Speziale" :-)

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  2. Ciao ragazze ;-)
    Io avevo già letto la storia di Paola ed avevo ammirato papà Elio per la sua franchezza.
    Io ho avuto mia figlia da primipara attempata per questo 24 anni fa ho fatto l'amniocentosi, sobbarcandomi un viaggio di oltre 1.000 Km.
    Non so cosa avrei fatto se ci fossero stati dei valori non in linea.
    Sono felice che Paola abbia dato tante belle soddisfazioni alla sua famiglia ed a se stessa.

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  3. La mia, cara Antonella è stata un'esperienza simile a quella di Elio, solo che l'ho vissuta da nonna. Quando il bambino di mia figlia è deceduto, tutti gli "estranei" a dire: "meno male"
    senza immaginare quanto dolore avevano quei due genitori che, sapendo di aver un bimbo "diverso" hanno deciso di portarlo fino alla nascita.
    L'ignoranza esiste ancora purtroppo!!!
    Sono commossa e felice nel vedere Paola così indipendente!!

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  4. Storie diverse, intime, che qui si sono incontrate in un unico abbraccio.

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  5. Ciao Antonella, ho letto della tua iniziativa tramite il Menù Turistico di Alessandra e Daniela.
    Certo che partecipo....più che volentieri, e se può essere utile posso anche venire a cucinare con voi!!!

    Un saluto, Fabi

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  6. Ciao Fabiana, ben arrivata! Grazie per aver aderito all'iniziativa e per esserti proposta come collaboratrice...certo che abbiamo bisogno, i nostri cuochi speziali saranno felicissimi! E sennò di quale integrazione stiamo parlando? Ti aspettiamo...

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  7. Ciao Antonella, io non sono all'altezza di Fabiana per la cucina, però so lavare i piatti, vado bene uguale?

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  8. Qua si prospetta una bella lotta, all'ultima forchetta...mi sa! Ovvia, così 'sta volta mangio!
    Come dicevi Accantoalcamino? Levati le babbucce, e inizia a cucinare, sarà meglio! Dopo tutto quello che hai "imbastito" vorresti scendere dai monti per lavare i piatti di carta?...:-D

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