lunedì 24 febbraio 2014

Rubrica letteraria: Il paradiso degli orchi

Il paradiso degli orchi – Daniel Pennac



Benjamin Malaussène fa di mestiere il capro espiatorio in un grande magazzino. Attorno a lui si muovono i suoi fratelli e le sue sorelle, personaggi da fiaba o da cartone animato, ognuno con la sua peculiarietà: una sensitiva, un genio dinamitardo, un piccolo dagli occhiali rosa e sordo che si esprime con i disegni, una quasi coetanea e amatissima. La madre è sempre in giro per il mondo, persa dietro al suo amore di turno dal quale rimarrà inevitabilmente incinta per lasciare un altro fratello o sorella prima di innamorarsi di nuovo e di nuovo partire. Completano il quadro un cane puzzolente ed epilettico, una zia maschio che difende vecchietti, travestiti e ladri e una zia femmina, avvenente giornalista d’assalto, di cui Ben finirà per innamorarsi. Gli altri personaggi, tutti unici e strampalati, si sgranano lungo la trama: una serie di bombe esplode nel grande magazzino dove Malaussène lavora e di cui viene incolpato.

A me il “poliziesco” è sembrato un pretesto per narrare le vicende quotidiane di questa famiglia e di coloro che le gravitano attorno, nel quartiere della periferia parigina di Belleville.
Pennac scrive con leggerezza, in maniera diretta e con molta ironia, fino a farti sorridere di un serial killer. Passa dalla descrizione di scene raccapriccianti al racconto di surreali quadretti familiari senza incontrare né farti incontrare gradini.
Un libro che può appartenere a tutti i generi o a nessuno (noir, rosa, verde, giallo….), che si legge per sapere come andrà a finire o per incontrare il prossimo amico della famiglia Malaussène.
A me è piaciuto al punto che dopo mi sono letta tutta la saga dei Malaussène (sono 7), ho visto la trasposizione teatrale del “signor Malaussène” con un bravissimo Bisio e sono pure corsa al cinema per l’encomiabile (almeno per lo sforzo prodotto nel rappresentare lo sgangherato mondo della famiglia) “il Paradiso degli Orchi”.
Recensione curata da Silvia Corazza
“Ronza, il commissario Legendre. Parla la lingua di quelle contrade glaciali dove le persone decedono invece di morire, dove le mogli sono delle consorti e i mariti dei coniugi, dove il dolore prova ma non sconvolge, il commissario di divisione Legendre parla la lingua tirata a lucido di quei registri dove si appendono i nomi in fondo ai cognomi, i quali diventano numeri di matricola quando le cose si mettono male.”

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