lunedì 10 marzo 2014

Rubrica Letteraria: Il viaggio dell'elefante

Il viaggo dell’elefante – Josè Saramago



Questa storia, che sembra una favola per fanciulli puramente inventata, nasce invece da una ricerca su un fatto realmente avvenuto in Europa nel periodo del luteranesimo (XVI secolo), periodo attraversato da terremoti religiosi, politici e sociali. Non proprio una ventata d’aria fresca, quanto una vera e propria tempesta. Un elefante (Salomone) arriva dall’India in dono al sovrano del Portogallo con il suo cornac (Subro). Dopo l’iniziale curiosità suscitata, l’animale diventa un peso inutile che “non fa altro che mangiare e dormire”. Su consiglio della moglie, il sovrano lusitano decide di regalare Salomone all’arciduca Massimiliano d’Austria. Il romanzo racconta il viaggio del pachiderma da Lisbona a Vienna passando per Valladolid, Genova, Padova e Innsbruck, compreso il valico delle Alpi. Insieme a Salomone viaggia una comitiva variegata e variopinta di umanità: soldati, servitori, religiosi, animali che attraversano l’Europa fra ali di folla entusiasta e mille difficoltà.
L’elefante è protagonista e spettatore innocente di una amara e divertente commedia umana: i soldati vogliono usarlo per ottenere gloria militare, i religiosi lo strumentalizzano a favore delle loro battaglie contro o pro Riforma e il pachiderma diverrà anche artefice involontario di un “miracolo” che ridicolizza la cecità di un certo tipo di clero. Poi c’è tutta la paura che l’uomo ha della natura e degli altri uomini, il profondo amore verso gli animali che pensano e si manifestano migliori degli uomini, sicuramente più innocenti, la boria e la pochezza dei regnanti, in mezzo a personaggi di grande spessore come l’ufficiale portoghese. Salomone, da strumento, diventa il fulcro di un’umanità a tratti circense che centra la sua vita attorno a lui e che viene indelebilmente segnata da quell’esperienza di viaggio surreale.
Saramago scrive in modo particolare, dalla gestione creativa della punteggiatura e delle maiuscole ad un’ironia finissima e nevicate di citazioni e proverbi famosi commentati in modo così stralunato da farli sembrare nuovi. Non è un libro facilissimo da leggere, proprio in senso tecnico, per il suo stile unico. E, a detta di molti, non è certo il capolavoro dell’autore portoghese. Ma a me è piaciuto molto, forse perché la trama è semplice, ma la visione di Saramago è limpida. Forse perché è un viaggio nella Grande Storia raccontato attraverso una piccola storia.
Leggendo ci si affeziona a Salomone e non lo si vorrebbe lasciare più. Un libro che regala un sorriso ad ogni riga.
.questa strada si potrebbe benissimo paragonare al paradiso, ancorché sia in dubbio che in quel luogo celeste ci siano delle strade, dato che le anime, non appena compiute le formalità d'accesso, sono immediatamente dotate di un paio d'ali, unico mezzo di locomozione lì autorizzato…
Le vacche hanno una storia, tornò a chiedere il comandante, sorridendo. Questa, sì, furono dodici giorni e dodici notti tra i monti di galìzia, con freddo, e pioggia, e gelo, e fango, e pietre come coltelli, e sterpi e rovi come unghie, e rapidi intervalli di riposo, e in più assalti e scontri, e ululati, e muggiti, il c’era una volta di una vacca e del suo piccolo di latte, spersa per i campi, tra bande di lupi intorno dodici giorni e dodici notti durante, obbligata a battersi e a difendere il figlio, in una lunghissima battaglia, l’agonia di vivere al limite della morte, in un cerchio di denti, di fauci spalancate, di bruschi impeti, le cornate costrette a non sbagliare, a colpire per salvare lei stessa e un animalino che farsi valere non poteva ancora, e ancora gli istanti in cui il vitello cercava la tetta della madre, lui che attingeva lento, e i lupi che venivano avanti, la schiena tesa, le orecchie appuntite. Subhro trasse un profondo respiro e proseguì, Alla fine di quei dodici giorni la vacca fu ritrovata, anche il vitello, salvi furono portati in trionfo al villaggio vicino, tuttavia il racconto non termina qui ma due giorni dopo; poiché la vacca si era trasformata in coraggiosa vacca, poiché aveva imparato a difendersi, poiché nessuno poteva più dominarla o blandirla, fu giustiziata, la accopparono non i lupi per dodici giorni sconfitti, ma gli uomini, li stessi che l’avevano salvata, forse proprio il suo padrone, incapace di intendere che, imparata la lezione della lotta, quell’animale un tempo succube e indifeso, prigioniero non sarebbe stato mai più.”
Recensione curata da Silvia Corazza
 

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