Le mie fiabe africane
Nelson Mandela
E’ stato con mia grande sorpresa che un po’ di tempo
addietro, rileggendo una biografia di Mandela e l’elenco dei suoi scritti, mi
sono imbattuto in questo libricino (perché in effetti lo è nel vero senso della
parola) e quindi, mosso dalla mia solita curiosità per l’insolito ed il
diverso, l’ho acquistato. E’ veramente un libro di favole dedicato ai bambini,
ma leggerlo non fa male neanche ai grandi, perché c’è sempre una parte del fanciullo che fu dentro di noi: d’altronde le
favole non sono altro che ricordi ancestrali della cultura dei popoli, in
questo caso popoli africani, e solo un uomo che ama (mi fa piacere pensare che
“MADIBA” sia ancora con noi) la sua gente ed il loro spirito più profondo
poteva pensare ad una raccolta di favole dopo essersi prodigato per salvare il
Sud Africa e forse gran parte del continente africano da un bagno di sangue. Molto
bella è la motivazione che Mandela ci consegna per aver raccolto queste
storie: “il mio più profondo desiderio è
che in Africa la voce dei cantastorie possa non morire mai” La storia e la
cultura africane sono per lo più orali e quindi non facilmente rintracciabili
ne assimilabili, anzi molto spesso si perdono con il passare del tempo e delle
generazioni, tanto da far apparire l’Africa come una terra senza cultura,
tradizioni, civiltà, buona solo per essere occupata, sottomessa, sfruttata e poi lasciata lì a morire.
“Noi non vogliamo,
non vogliamo affatto intendere, che quel che ci accingiamo a raccontare sia
vero”. Queste sono le parole con cui i cantastorie “ASHANTI” iniziano i loro
racconti e sono molto belle perché ogni storia raccontata da ognuno di noi ai
nostri figli o nipoti, diventa una storia unica, arricchita o mutilata dalla
nostra sensibilità, dalla nostra cultura, dai nostri ricordi, dalle nostre
paure, o gioie: è la storia di chi la racconta. Naturalmente tutte le favole
del mondo sono simili, ed anche qui c’è l’ammonimento per i bimbi
disubbidienti, c’è Cenerentola, ci sono da risolvere indovinelli per poter
realizzare un desiderio, c’è una specie di
Cappuccetto Rosso. Poi ci sono gli animali, tanti animali: scaltri o sciocchi,
veri o magici, piccoli e grandi, forse sono loro, insieme alla natura, i veri
protagonisti delle fiabe. Ma in ultimo, secondo me, si sente in ogni pagina
l’Africa, con i suoi mille popoli e le sue mille culture. Quindi un libro
affascinante ma di facile lettura, oltretutto i racconti sono molto brevi, si
prende e si lascia con facilità, si
riapre in ogni momento del giorno, a colazione come a cena, ma sempre con gioia
e allegria anche nelle favole più cupe. Naturalmente c’è una mia fiaba
preferita ed è l’ultima; il suo titolo dice “ La madre che divenne polvere ”.
Racconta il mito della Creazione visto con gli occhi di una narratrice del
Malawi dove la parte principale è riservata alla nostra Madre Terra. Gli uomini
non capiscono quanto lei li ami, continuano a litigare tra sé a sfruttarla
senza alcuna riconoscenza fino a farla morire. Queste dunque sono le ultime
righe di questo libro, ancora piene d’amore e speranza come ogni madre dispensa
sempre e comunque ai propri figli...”E in quello stesso giorno di ogni mese,
la Luna guarda i suoi figli che litigano e discutono. Scorge le figlie guidate
dalla giovane donna e indaffarate a curare e guarire, a servire e salvare, così
come faceva lei prima. Ma i figli delle figlie della Luna continuano a
litigare, a scontrarsi a lamentarsi. E la Luna, vedendo tutto ciò, non può fare
a meno di nascondere la faccia e piangere, prima di avere la forza di tornare a
guardare , mostrando solo la metà del
suo volto. Poi poco alla volta si gira, finché la sua faccia piena risplende con amore. In
quelle notti, qualcuno coglie quell’amore e lo fa circolare. Le figlie della
Luna intonano allora il canto di chi si prodiga per gli altri, esprimendo
ancora un desiderio: che tutti i figli possano imparare di nuovo ad amare la
Madre.
Proprio mentre pensavo a come riportare questo libro (i miei
tempi di gestazione sono abbastanza lunghi), ho visto un articolo pubblicato
sulla rubrica Cultura del quotidiano La Repubblica del 27 marzo scorso scritto
da Desmon Tutu, compagno di lotta di
Mandela e altro grande creatore del moderno Sud Africa, che mi ha
profondamente colpito, oltre che per il tema pubblico o politico che dir si
voglia, per quanto di personale egli scriva e per quanto mi sia ritrovato in
quelle righe.
Il titolo è: PERDONO MIO PADRE, IL
SUDAFRICA E ME STESSO
Chi avesse voglia di leggerlo lo può trovare facilmente su
internet e quindi scrivo queste righe solo per ricordare anch’io mio padre.
Fortunatamente mio padre non ha mia bevuto né maltrattato
mia madre, però lavorava tantissimo, mi sembrava sempre burbero, chiuso,
raramente mi faceva un complimento, quasi mai aveva tempo per stare con me,
parco di lodi ricco di rimproveri. Era difficile in quell’adolescenza “volergli bene”. Eppure eravamo, io e mia
madre, tutta la sua vita.
Ho capito, questo, molto
tempo dopo, quando ha dovuto sopportare le mie isterie, soffrire in silenzio
per la mia separazione, vivere da solo la solitudine della vedovanza,
accogliermi adulto ancora sotto il suo tetto a sconvolgergli la vita; quando è
morto e io non c’ero perché non potevo mancare in ufficio e la morte non sai
quando arriva e non rispetta gli orari dell’ufficio.
Ho capito quale e quanto fosse il suo affetto dopo la sua
scomparsa, quando lentamente un senso di colpa oscuro e strisciante mi è
entrato dentro per non averlo mai ringraziato per quello che aveva fatto per me
e per la mia vita. Per aver parlato poco tra noi, per averlo sopportato, per non essere stato lì vicino negli ultimi attimi di vita.
Lui non poteva darmi di più non ne aveva i mezzi.
Allora termino questo ricordo con le parole di Tutu...“TI CHIEDO SCUSA” , sono le parole più difficili da dire ma sono
anche quelle che ci riscattano dagli errori “
Raffaele Strada
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