lunedì 18 luglio 2011

Dedicato a...

Piero Chiostri. 


Solitudine e disperazione


Sono trascorsi 7 mesi da quando lo incontrai per la prima volta in associazione. Preannunciò il suo arrivo con una telefonata. Mi disse: la vorrei conoscere. Tutto successe dopo una critica, apparsa sui giornali, che avevamo sollevato nei confronti dell'Inps che, per ricercare i falsi invalidi, stava chiamando a visita una buona percentuale di persone con sindrome di Down. Mi apparve subito una persona molto particolare, apparentemente dura nei modi, ma lasciò trasparire tanta dolcezza quando si fece trasportare dal lungo racconto della sua non facile vita. Si disse stanco, ma forse interessato a ri-associarsi.
Prima di andarsene mi lasciò questa lettera, pubblicata da Repubblica il 2 aprile 1999, che avevo custodito gelosamente come memoria storica, ma che purtroppo di storico ha ben poco, perché si rivela sempre attuale.

Il futuro dei nostri figli handicappati

La mia seconda figlia, Laura, che ora ha 27 anni, è una ragazza Down; 13 anni fa moriva mia moglie dopo 4 anni e mezzo di tante sofferenze. Credo di poter dire qualcosa sul come vengono vissuti in Italia questi problemi. Il nostro Paese ha delle leggi ottime e umane: mi riferisco alla chiusura dei manicomi, o all'inserimento degli handicappati nelle scuole pubbliche; la realtà poi è ben diversa...Basta leggere le lettere di disagio che ogni tanto giungono a "Repubblica". 
Si fa un gran parlare infatti del rispetto della vita: ecco io vorrei suggerire a coloro che intendono difendere la vita fin dal primo istante del concepimento, di indirizzare le loro attenzioni anche verso quelli che non sono in condizioni di difendersela da soli.
Ho sempre vissuto la sofferenza con dignità e serenità; la fede in Dio è stata ed è tuttora insostituibile. Prima che mia moglie si ammalasse, con altri genitori abbiamo preso tante iniziative a favore degli handicappati fiorentini; purtroppo dopo tanti anni i frutti di tanto lavoro sono molto 
scarsi. Che ben vengano le sottoscrizioni televisive, o le partite di calcio giocate da personaggi famosi per sensibilizzare la gente a certi problemi, ma ci vuole altro perché le cose cambino, e davanti a tanta indifferenza.
Oggigiorno si parla di solidarietà verso tutti e tutto, anche tramite i mass media: non c'è problema sociale che non venga preso in cosiderazione. Raramente qualcuno si ricorda degli handicappati; allora è bene che l'opinione pubblica sappia che esistono dei genitori che con coraggio e dignigtà dedicano la loro vita ai loro figli sfortunati, pensando con angoscia al loro futuro, ossia se gli venissero a mancare i genitori.

Rispose Barbara Palombelli
I genitori dei disabili chiedono attenzione. Noi "normali" li ripaghiamo, quando va bene, con l'indifferenza o con un versamento sui mille conti correnti sciacquacoscienze...Dovremmo forse invece versare qualche ora delle nostre giornate: ho sempre pensato che le maratone televisive, per essere efficaci, dovrebbero avere due cifre in sovraimpressione, quella dei soldi e quella delle ore di volontariato che siamo disposti a donare per i problemi degli altri (che da un minuto all'altro potremmo essere noi, i nostri genitori, i nostri figli...). Questo spazio, come sa Piero e come sanno coloro che ci seguono, non è indifferente. Spero che questo messaggio sia raccolto: pubblico l'indirizzo di Piero proprio per questo. Anche per non lasciare soli i genitori che diventano grandi e pensano con angoscia al futuro dei loro figli sfortunati. Chi li amerà dopo di loro?


Il 15 giugno scorso Piero Chiostri si è tolto la vita gettandosi dall'ultimo piano di un condominio.
Questo episodio, che ho appreso il giorno seguente l'accaduto, mi ha toccato profondamente, così profondamente che ho impiegato più un mese per riuscire a condividerlo con voi.
Sono una mamma e, se pur ottimista e convinta che bisogna andare avanti cercando di superare i continui ostacoli  che il sistema ci mette sul cammino, non posso non fermarmi a riflettere su quanto solitudine e disperazione, possano influire sull'equilibrio della nostra mente, per arrivare a compiere atti così estremi. Purtroppo, rimane il rammarico di non aver saputo cogliere quella che pur indirettamente, poteva essere una sua richiesta d'aiuto.




Piero Chistri è stato, insieme a un gruppo di genitori, tra i fondatori di Trisomia 21 nel 1979.

www.at21.it


5 commenti:

  1. Anche io sono una mamma, ancora "piccola"... ma che sta crescendo a poco a poco, proprio grazie ai fondatori dell'associazione Trisomia 21 di Firenze, e grazie a chi ha saputo proseguire il loro intento con determinazione anche contro le insidie che ogni giorno provano a fermarli.
    Vi dico che la parola nudissima che ha usato Piero Chiostri in quella sua lettera/denuncia/richiesta di aiuto, ovvero HANDICAPPATI, non trova posto in quelli che sono i miei pensieri e le mie speranze verso uno dei miei figli.

    Oggi gli handicappati sono diventati persone con disabilità, o ancora meglio con abilità diverse. Una conquista verso la dignità loro e nostra e di tutti.

    Piero era sicuramente un padre "cresciuto" in anni in cui non c'erano come ora, risposte, e prospettive concrete per i propri figli con disabilità, e non da ultimo la possibilità di confrontare la propria realtà con quella di altri che camminano su una strada simile alla tua.
    Ma quanto comunque è dura avere queste risposte e creare queste prospettive, tutti noi lo sappiamo...

    Lui come altri,in quegli anni, ha dovuto combattere veramente per ottenere quelli che oggi possiamo considerare diritti per i nostri figli, anche se è vero che non sempre questi diritti e queste tutele sono "applicati", causa cattiva informazione, ignoranza, o addirittura preconcetti...

    L'integrazione vera, parte proprio dal pensare tutte le persone come persone, non come handicappati, non come biondi, non come italiani, non come fiorentini, non con una categoria, che poi diventi il loro nome.
    No.
    Forse ancora nemmeno noi genitori "consapevoli", siamo pronti al grande balzo... ma i nostri figli si, e dobbiamo lavorare per renderlo possibile.

    Un giorno proprio uno dei miei figli mi parlava di un suo compagno, Duccio, e per descriverlo e farmi capire chi era non ha mai nominato il colore della pelle, ma mi ha descritto i suoi capelli, gli occhi, le cose che faceva...lì mi sono sentita più piccola di mio figlio, o meglio, meno "evoluta", perchè certi modi di pensare non si imparano... si può solo cercare di rompere gli schemi che ci impediscono di vedere anzichè guardare.

    Anche noi, via via che diventiamo sempre più "diversamente" genitori, ci confrontiamo con le domande sul futuro... ma lo facciamo per tutti i figli, con più o meno "abilità", o no?

    Forse nel posto dove è andato Piero, potrà finalmente riposarsi da tutte le battaglie, da tutte le sconfitte, da tutte le pene che la vita non ha mancato di dargli. E da lì potrà vedere Laura e l'altro/a suo/a figlio/a che provano a camminare senza di lui.

    Grazie Antonella per aver condiviso questa esperienza con tutti noi.
    Beatrice

    RispondiElimina
  2. Non ho parole, ma lascio un cenno del mio passaggio.
    ;-) a tutti

    RispondiElimina
  3. In un bellissimo libro che ho letto qualche (!) anno fa c'era un'immagine che mi colpì moltissimo. Una donna subiva un'enorme ferita dalla vita e un uomo, guardandola allontanarsi, vedeva il suo corpo adattarsi al dolore. Le spalle che si incurvavano un po', il passo un po' più incerto di chi porta un peso. Il corpo di lei faceva spazio, si modificava per contenere quel dolore.

    Ci sono sofferenze che nessun corpo è in grado di contenere e corpi che non possono contenere neanche una briciola di sofferenza in più.

    Il dolore è l'unica cosa che rispetto negli umani, e so, mia cara scimmietta, che in certe situazioni si può allungare una mano e gettare un sorriso, ma non si può nè toccare nè trattenere.

    Piero aveva combattuto molto: aveva anche il diritto di arrendersi. O di compiere un atto di estremo coraggio. Perchè da adulti ci vuole un gran coraggio per morire.

    RispondiElimina
  4. ...non si può nè toccare nè trattenere.. Mi associo.
    Possiamo esserci, nel lavoro e fuori, a modo nostro. Anche senza intenzioni dirette di "contagio", esserci fa di noi dei generatori di speranza, fiducia nel futuro, possibilità di risultati ecc. In questo senso sì, è possibile e doveroso essere d'aiuto. Forza Scimmietta!! Con affetto

    RispondiElimina
  5. Grazie Saccarosio, per esserti iscritto come lettore, per l'incoraggiamento, per l'affetto e perché...un po' di zucchero è proprio quello che mi ci vuole! :-D

    RispondiElimina