Benjamin Malaussène fa di mestiere
il capro espiatorio in un grande magazzino. Attorno a lui si muovono
i suoi fratelli e le sue sorelle, personaggi da fiaba o da cartone
animato, ognuno con la sua peculiarietà: una sensitiva, un genio
dinamitardo, un piccolo dagli occhiali rosa e sordo che si esprime
con i disegni, una quasi coetanea e amatissima. La madre è sempre in
giro per il mondo, persa dietro al suo amore di turno dal quale
rimarrà inevitabilmente incinta per lasciare un altro fratello o
sorella prima di innamorarsi di nuovo e di nuovo partire. Completano
il quadro un cane puzzolente ed epilettico, una zia maschio che
difende vecchietti, travestiti e ladri e una zia femmina, avvenente
giornalista d’assalto, di cui Ben finirà per innamorarsi. Gli
altri personaggi, tutti unici e strampalati, si sgranano lungo la
trama: una serie di bombe esplode nel grande magazzino dove
Malaussène lavora e di cui viene incolpato.
A me il “poliziesco” è sembrato un pretesto per narrare le vicende quotidiane di questa famiglia e di coloro che le gravitano attorno, nel quartiere della periferia parigina di Belleville.
A me il “poliziesco” è sembrato un pretesto per narrare le vicende quotidiane di questa famiglia e di coloro che le gravitano attorno, nel quartiere della periferia parigina di Belleville.
Pennac scrive con leggerezza, in
maniera diretta e con molta ironia, fino a farti sorridere di un
serial killer. Passa dalla descrizione di scene raccapriccianti al
racconto di surreali quadretti familiari senza incontrare né farti
incontrare gradini.
Un libro che può appartenere a
tutti i generi o a nessuno (noir, rosa, verde, giallo….), che si
legge per sapere come andrà a finire o per incontrare il prossimo
amico della famiglia Malaussène.
A me è piaciuto al punto che dopo
mi sono letta tutta la saga dei Malaussène (sono 7), ho visto la
trasposizione teatrale del “signor Malaussène” con un bravissimo
Bisio e sono pure corsa al cinema per l’encomiabile (almeno per lo
sforzo prodotto nel rappresentare lo sgangherato mondo della
famiglia) “il Paradiso degli Orchi”.
Recensione curata da Silvia Corazza
“Ronza, il commissario
Legendre. Parla la lingua di quelle contrade glaciali dove le persone
decedono invece di morire, dove le mogli sono delle consorti e i
mariti dei coniugi, dove il dolore prova ma non sconvolge, il
commissario di divisione Legendre parla la lingua tirata a lucido di
quei registri dove si appendono i nomi in fondo ai cognomi, i quali
diventano numeri di matricola quando le cose si mettono male.”
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