martedì 29 luglio 2014

Rubrica letteraria: LA GRAMMATICA DI DIO - Storie di solitudine e allegria

                                                                      Stefano Benni
Dato che ormai siamo vicinissimi alle vacanze, vorrei scrivere di un libro adatto alla lettura estiva.
Il nome dell’autore è già di per sé una garanzia. Ho conosciuto Benni con la sua opera prima, Bar Sport, a cui quasi tutti quelli della mia generazione devono molto, comprese locuzioni e rimandi che sono entrati nel linguaggio comune e che ancora oggi (dopo ben 38 anni!!) ci portiamo dietro. Chi, tra noi che abbiamo felicemente sorpassato i secondi “anta”, non conosce la Luisona? Benni scrive con un’ironia a volte poetica a volte cinica, ma sempre lucidissima. Crea mondi di personaggi magici e surreali, uomini e animali, ma quando chiudi uno dei suoi libri ti sembra di aver letto la storia di qualcuno che conosci o potrai incontrare. E si ride, sempre.
Si tratta di un libro breve. E’ una raccolta di 25 racconti (alcuni di una pagina sola) che si leggono bene, quando non benissimo. Il filo conduttore è, appunto, la solitudine anche se non so quanto sia stato un caso e quanto una scelta. In questo testo si incontra un Benni diverso dal solito, alcune delle storie fanno male al cuore e ogni lettore può trovarne una che parli direttamente a lui. O con lui. Ma non si piange, si riflette. I protagonisti sono una sorta di enciclopedia dell’umanità che va ben oltre l’ordine alfabetico: c’è un cane che torna sempre indietro, un ladro che più ladro non è, un frate che non parla più, una strega al giorno d’oggi, due pescatori molto simili e molto diversi, un manager affermato e gli altri scopriteli da soli. Si sente nostalgia e rimpianto per qualcosa di perduto, qualcosa che non tornerà e comunque se tornasse non sapremo che farcene. Ma in ogni storia, oltre ad uno sguardo malinconico e senza pietà su quello che ci sta davanti e intorno, c’è anche la capacità di tirarne fuori la comicità, per quanto amara possa essere.
E si ride, nonostante tutto.

Alla fine si ha l’impressione di aver dato uno sguardo sul mondo, come se avessimo avuto la possibilità di sbirciare da una finestra affacciata sul genere umano. Questo libro ha provocato una frattura fra i seguaci dell’autore: chi si aspetta di trovarci il Benni scoppiettante e irriverente di Il Bar sotto il mare rimarrà deluso. Chi invece cerca una lettura intelligente, poetica e che a volte faccia morire dal ridere lo apprezzerà molto. E alla fine, è vero quel che dice il filosofo greco citato in apertura del libro: tra gli dei che gli uomini inventarono, il più generoso è quello che unendo molte solitudini ne fa un giorno di allegria.

Buona lettura!

Allora Leonnino decise di uccidersi.
Come primo tentativo si buttò giù dal letto, ma si slogò solo un gomito.
Poi con la sedia a rotelle investì il carrello dei pasti, ma riportò solo una lieve ustione da purè.
Una notte cercò di soffocarsi con il cuscino, lo trovarono al mattino livido e ansante, ma vivo.
Infine si mise sotto le coperte e scoreggiò trecentottantasei volte. Quando l’infermiere sollevò le lenzuola svenne, e con lui il trenta per cento del personale paramedico e gran parte dei topi nei sotterranei dell’ospedale. Ma il nonnoriportò solo una lieve intossicazione da gas scatolico e si riprese in fretta.

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martedì 8 luglio 2014

Rubrica letteraria: Storia di una ladra di libri


                                                      di Markus Zusak


Siamo nel 1939, in una cittadina vicina a Monaco e a Dachau in piena Germania nazista.
La storia della protagonista, Liesel Meminger, inizia quando trafuga un libro durante il funerale del suo fratellino. Non sa leggere ancora e quindi cosa può significare per lei quel libriccino semisepolto nella neve?
Liesel verrà affidata ad una famiglia adottiva composta da un padre imbianchino prodigo di tenerezza che le insegnerà a leggere e una madre ruvida, dai modi fin troppo spicci ma capace di profondi e inaspettati sentimenti. La bimba cresce, circondata da una delle più terribili epoche del nostro passato, intreccia relazioni e si affaccia alla vita accompagnata da eventi terribili visti attraverso i suoi occhi, e da un viscerale amore per le parole. Le parole.




La voce narrante è la Morte, affaticata da un periodo di “superlavoro”, un po’ ciarliera, un po’ malinconica, un po’ innamorata della vita e degli uomini. A volte ironica, capace di humour ovviamente “nero”. Spesso compassionevole e incredula.
La struttura del libro è particolare, all’inizio di ogni capitolo c’è un elenco del suo contenuto, a volte gli avvenimenti vengono anticipati per poi ritornarci sopra, ci sono incisi in grassetto per spiegare alcune parole, insomma uno stile abbastanza anomalo.

Per godere di questo libro credo che occorra innanzitutto non farsi fuorviare: non è un romanzo sull’olocausto, né la storia di una ladra. La guerra, il nazismo, la terribile sorte degli ebrei sono visti, vissuti e tradotti da una bambina attraverso il suo quotidiano fatto di giochi con altri ragazzini, di vita di strada, di mansioni domestiche e libertà rubate. Liesel fa i conti con la realtà e vi si adatta, come fanno i bambini, ma ovviamente non ne capisce le implicazioni politiche, storiche e sociali. Vive un periodo con un ebreo in cantina e stringe una bellissima relazione affettiva con quest’uomo: per lei la parola “ebreo” non ha nessun senso. Nelle sue fughe a rubare nei frutteti con l’amico del cuore c’è la storia di qualsiasi bambino vissuto ai limiti della campagna probabilmente anche ai giorni nostri, anche se la spinta di base è la fame e non il piacere del rischio. La piccola non è neppure una ladra, alla fine i libri rubati saranno solo 3. Trovo che il titolo sia abbastanza fuori luogo e possa creare aspettative che poi verranno disilluse.



Probabilmente molti leggendolo hanno anche pensato che sia un libro scritto per ragazzi, ma su questo non sono assolutamente d’accordo. Credo che questo sia un libro che vada letto due volte per apprezzarlo pienamente: la prima per soddisfare la curiosità, la seconda per assaporarne il contenuto e lo stile.
La partecipazione emotiva del lettore è anche troppo scontata, soprattutto in alcune pagine veramente ben scritte: la processione degli ebrei diretti a Dachau; l’attesa nei rifugi contro i bombardamenti; l’onesta morale che lega il padre ad una fisarmonica e ad una promessa del passato e mette a rischio tutta la famiglia ma, semplicemente, non ci si può tirare indietro; gli scherni e gli scherzi verso la bottegaia nazista, l’amore innocente di Liesel verso il suo compagno di giochi che lei stessa comprenderà solo quando sarà troppo tardi, solo per citarne qualcuno.



A me il libro è piaciuto, forse proprio perché non la violenza e la cruenza si affacciano soltanto tra le pagine e l’autore è riuscito a trovare e a dare gentilezza e delicatezza anche ad una delle realtà più crudeli che il genere umano abbia conosciuto. Perché parla dell’amore per le parole, dell’incredibile potere di una storia o di una definizione. E racconta di come l’anima possa trovare anche in una parola un balsamo capace di guarirla. E di sopravvivere.
Contrariamente ai miei principi stavolta riporto le frasi finali del libro, che raccontano molto ma non svelano niente. Buona lettura!

Silvia Corazza

Avrei voluto dire tante cose alla ladra di libri, parlarle della bellezza e della brutalità. Ma che cos’altro avrei potuto dire che lei già non sapesse? Volevo dirle che da sempre mi capita di sovrastimare o sottostimare il genere umano…di rado mi limito a stimarlo. Volevo domandarle come potesse una medesima cosa essere terribile e splendida allo stesso tempo, e le sue parole dure e sublimi insieme.
Nulla di tutto ciò mi uscì dalla bocca.
Riuscii solamente a volgermi verso Liesel Meminger, per confidarle l’unica verità che conosco davvero. La dissi alla ladra di libri, e adesso la ripeto a te:

***ULTIMA POSTILLA DELLAVOSTRA NARRATRICE***
Sono perseguitata dagli esseri umani