Scholastique
Mukasonga
Sono stato indirizzato a questo
libro dalla Dott.sa Maria Stella Rognoni ricercatrice presso la
facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Firenze e docente
di un corso tenuto quest’anno presso l’Università dell’Età
Libera dal titolo “L’Africa fra nuovi e vecchi interlocutori:
politica, economia e società.”
Questo è il terzo lavoro della
scrittrice nativa del Ruanda, di etnia TUTSI e fuggita in Francia a
causa della situazione disperata creatasi nel suo paese negli scorsi
anni.
Quest’anno
si ricorda il 20° anniversario del genocidio avvenuto in Ruanda
nel 1994 dove approssimativamente vennero trucidate un milione di
persone nelle maniere più efferate in un periodo brevissimo. Certo
le guerre, ed in particolar modo le guerre civili, causano sempre
milioni di vittime (sono fatte apposta) ma in questo caso è il modo
in cui queste morti sono state causate, praticamente a mani nude o
con armi “di fortuna” a sconvolgermi ancora oggi con il ricordo
di quelle notizie lette, viste o ascoltate.
Vorrei scrivere alcune notizie
riguardo a quel paese per rappresentare a grandi linee e senza
assolutamente alcuna pretesa di chiarezza lo sfondo in cui si svolge
la storia rappresentata nel libro e l’atmosfera che lo pervade e
che fa da premessa agli avvenimenti del 1994.
Il Ruanda è un piccolo stato posto
nell’africa Centrale a cavallo dell’Equatore praticamente privo
di risorse naturali e la cui economia è basata, oggi come ieri,
sull’agricoltura e l’allevamento del bestiame grazie al clima
temperato che lo caratterizza in quanto il territorio si sviluppa ad
una altezza medi di c.a 1.700 mt. S.l.m. che lo preserva dalle
problematiche malsane del clima equatoriale e permette
l’agricoltura, oggi “di piantagione” ieri di sussistenza; è
anche il paese “dei Gorilla”.
La sua popolazione originaria è
rappresentata dai TWA in origine cacciatori raccoglitori, oggi
estrema minoranza della popolazione. Nel primo millennio D.C. si
stanziarono in Ruanda popolazioni chiamate HUTU di ceppo Bantu
dedicate all’agricoltura, oggi l’etnia maggioritaria,
successivamente intorno al XIV secolo probabilmente dalla zona Etiope
sopraggiunsero popolazioni Tutsi allevatori di bestiame che
sottomisero le altre Etnie e espressero la classe dominante anche se
allora come oggi minoritarie da un punto di vista numerico. Questa
società andò avanti per svariati secoli convivendo più o meno
pacificamente anche grazie ad una sostanziale permeabilità delle
classi sociali. Negli ultimi anni del XIX secolo il Ruanda fu
colonizzato dalla Germania a cui succedette, dopo la fine della 1
guerra mondiale il protettorato del Belgio (una delle amministrazioni
coloniali più infami che l’Africa abbia avuto) che continuò ad
affidare l’amministrazione all’etnia Tutsi esasperando le
differenze di Etnie. Come se tutto questo non bastasse al momento
dell’indipendenza, 1962, il Belgio affidò il governo ad un
presidente Hutu con conseguenti scontri interraziali che coinvolsero
anche popolazioni e stati confinanti: Congo, Burundi, Tanzania.
Questa situazione andò avanti fino al 16 Aprile 1994 quando il
presidente Habyarimana (Hutu) fu assassinato in un incidente aereo
mentre tornava da colloqui di pace per stabilizzare il paese. Da
questo avvenimento si ritorna all’anniversario di cui sopra. Oggi
il Ruanda è amministrato da una dittatura che ha sopito i problemi
etnici e avviato il paese ad un modesto sviluppo ma è un coperchio
su una pentola esplosiva pronta a saltare nuovamente in aria.
Tutto questo per inquadrare il
racconto di questo libro, perché in ogni pagina che lo compone,
secondo me, si sente e si avverte il suono di questa tragedia.
Dunque è la storia del “Liceo
Nostra Signora del Nilo” il migliore e più esclusivo liceo del
Burundi riservato alle figlie della nuova dirigenza del paese di
etnia Utu: figlie di ministri, ambasciatori, militari d’alto rango,
uomini d’affari e cosi via, è la scuola che dovrà formare “La
futura élite femminile del paese”
Peccato che per molte di queste
alunne il solo desiderio sia quello di fare un buon matrimonio con
figli di ambasciatori, militari d’alto rango, ministri, uomini
d’affari e così via.
Il nome del liceo deriva proprio dal
fatto di essere posto nei pressi delle sorgenti del Nilo vegliate da
una statua di una Madonna, nera naturalmente, proprio una vera
Ruandese.
Naturalmente in ossequio alle
“quote” al liceo vi erano anche ragazze di origine Tutsi certo
non molto ben viste dalle altre, ma d’altronde così esigevano le
regole e le regole andavano rispettate. Le ragazze più intelligenti
soffrivano di questo stato di cose: emblematiche sono queste
considerazioni “ E noi, che ne sarà di noi? Un diploma Tutsi non è
come un diploma Utu. Non è un vero diploma. Il diploma è la tua
carta di identità. Se c’è scritto Tutsi, non troverai mai lavoro,
neanche presso i bianchi. E’ la quota”
L’inizio del racconto coincide con
la costruzione del Liceo, e si snoda attraverso il resoconto di un
anno scolastico. I primi capitoli sono leggeri, quasi divertenti, si
sente l’Africa in tutti i suoi sensi, si possono immaginare, gli
odori, i colori, vedere le persone, quelle più integrate e quelle
ancorate ancora al passato tribale. Si notano le contraddizioni tra
il potere, in questo caso il Liceo, e gli abitanti del villaggio
vicino.
Come ho accennato prima il Liceo
rappresenta il fior fiore della società, ma ogni riga fa vedere che
questa società è falsa, che scimmiotta quella bianca di cui
raccoglie il peggio, che fa propri gli ideali peggiori di essa e li
pone al vertice dei propri desideri. Non cerca una sintesi tra le
due culture, quella bianca e quella nera, vuole solo quella bianca
ed esaspera i suoi difetti. Nel prosieguo del racconto però questa
leggerezza sparisce, a mano a mano che emergono le vere personalità
di tanti personaggi, “la fosca lussuria del cappellano” che
approfitta della vanità di alcune ragazze, le riveste con i più bei
vestiti, donati alla missione, per soddisfare i suoi istinti, ma non
si può dire che approfitti della loro innocenza perché esse sono
consapevoli ed accondiscendenti. L’ignavia della Madre Superiora
che si volta dall’altra parte, per non vedere, che non si oppone al
potere, che è sempre dalla parte dei più forti. L’astio che
pervade alcune alunne Hutu verso le loro compagne Tutsi, il loro
sentirsi protette in quanto parte di una maggioranza dominante, e
poter agire indisturbate in ogni situazione anche la più drammatica.
Ecco quindi che l’astio degenera
in odio, gli ultimi capitoli sono la preparazione ai tragici
avvenimenti che coinvolgeranno il Liceo e che non saranno altro che
il prologo su modesta scala del progrom che avverrà nel 1994 in
tutto il paese.
Pensavamo che con la fine del
Nazismo non avremmo mai più sentito parlare di genocidio, progrom,
pulizia etnica eccetera ma non è così e questo libro lo dimostra.
Raffaele Strada
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