OLTRE LE NUVOLE
di Silvia
Valentina è nata un anno e qualche mese prima dell'associazione Trisomia 21, ed è mia sorella.
Quando arrivò non fu accolta esattamente con quello che si piò definire "caloroso entusiasmo". Ricordo ancora gli sguardi sfuggenti dei parenti, le conversazioni troncate all'improvviso appena mi avvicinavo, mio padre che sembrava sempre sul punto di piangere. E voleva che togliessi il fiocco rosa dal portone. L'avevo aspettata con gioia, anche se avrei preferito un fratello dato che una sorella l'avevo già, e quindi mi sentivo piuttosto disorientata.
Dopo un paio di settimane in cui sembrava che Valentina non riuscisse a sopravvivere, i miei genitori tornarono a casa da un consulto medico e ci dissero la verità. I tempi del "politically correct" erano ancora lontani e quindi la notizia fu riportata come gli era stata data: vostra sorella è mongoloide.
Sarà stata l'incoscienza dei miei 15 anni, o più semplicemente che le aspettative parentali sono obbligatoriamente diverse, ma quella frase mi scivolò addosso come acqua fresca, senza lasciare segni. Mi avessero detto che Valentina aveva un piede storto sarei rimasta molto più colpita.
Ancora oggi, dopo tutti questi anni, dopo l'esperienza diretta con le difficoltà e le coseguenze, oggi che comprendo appieno cosa quella frase significhi, non penso mai a mia sorella come a una persona con la sindrome di Down.
A causa di una storia familiare piuttosto accidentata, il rapportro fra me e lei è particolarmente stretto. Sono immeritatamente, la persona che gode della sua assoluta fiducia, e quindi nel tempo sono stata depositaria dei suoi dubbi e delle sue paure. Uno dei momenti più difficili per me è stato quando, tornando da scuola, dopo pochi giorni di prima elementare, mi chiese: "Cosa vuol dire che io sono mongoloide?"
Oh, beh, perché i luoghi comuni in cui nascondersi non ci sono mai quando servono?
Le risposi che era una sua caratteristica personale. Come c'erano le persone con gli occhi azzurri e quelle con gli occhi scuri, quelle bionde e quelle more, quelle che non potevano mangiare dolci e quelle con le allergie alle fragole, così c'erano le persone con la sindrome di Down. Tutto questo pregando incessantemente che la risposta le bastasse e non volesse approfondire l'argomento. Il buon Dio mi ascoltò e Valentina prese coscienza della sua diversità senza fare ulteriori domande.
All'inizio lei era convinta che impegnandosi avrebbe potuto cancellare l'handicap, dopotutto i capelli si possono tingere ed esistono le lenti a contatto colorate. Poi verso i 14, 15 anni, comprese che questa condizione non sarebbe mai cambiata. E per lei iniziò un periodo molto difficile: non si accettava più ed evitava ogni confronto. Era diventata triste. Una condizione innaturale per lei. Ma ha superato anche quell'ostacolo e il merito è tutto suo. Di ogni sua conquista il merito è sempre tutto suo: è lei che fa il lavoro più duro.
Oggi Valentina ha un lavoro che le piace, anche se vorrebbe cambiarlo (e chi non lo vorrebbe?), svolge molteplici attività che tengono lei costantemente impegnata e noi familiari costantemente sull'orlo di una crisi di nervi per far combaciare i suoi ritmi con i nostri. Fa parte del teatro Allegria fin dagli albori e questo, oltre a portarla in giro per i teatri di Firenze e convincerla di essere una nuova Duse, ha notevolmente sviluppato il suo senso critico.
Ha un fidanzato storico, con il quale rimanda il matrimonio di anno in anno (a partire dal 2002, mi sembra) per motivi logistici: la nonna di lui ha promesso loro la casa, ma si ostina a godere di ottima salute e l'appartamento rimane indisponibile. Questo non le impedisce di aver già scelto l'abito da sposa (che cambia ogni anno all'acquisto del nuovo catalogo "Sposa"), di aver già scelto il ristorante per il pranzo (che cambia ogni qualvolta vede un posto che le piace) e di compilare elenchi di invitati i cui nomi non cambiano, ma il cui numero oscilla pericolosamente sempre sopra le 200 unità. Più difficoltosa la scelta della location per le foto. Ci è stata ventilata anche la possibilità di Marostica, una volta. Solo l'ascesa a piedi al castello le ha fatto cambiare idea...
E' una persona piena di interessi, sogni e desideri, e con l'invidiabile capacità di non reprimere emozioni. Ricordo con tenerezza il momento in cui, grazie all'attività dell'AT21 presso il Mandela Forum, Valentina vide, seduto su uno sgabello, uno dei suoi "miti". Così, a pochi metri da lei. Gli occhi spalancati le dipinsero sul viso un'espressione di assoluta incredulità e si portò istintivamente una mano sul petto, dove, son sicura, il cuore le saltellava allegro. Perse per un attimo il ritmo del respiro succhiando aria e disse "ma è lui!". Esisteva dunque. E quell'attimo di emozione pura non deve essere stato molto diverso da ciò che provò Galileo quando ebbe la conferma che "si muoveva". Qualunque cosa egli intendesse.
Per carità, anche Valentina ha i suoi lati oscuri. Un certo egoismo, soprattutto all'interno della famiglia, una leggendaria avarizia con i suoi averi legata ad una munifica generosità con i soldi altrui, una cocciutaggine da far impallidire Alfieri. E un ego le cui dimensioni mal si adattano persino all'universo. Ma, grazie a Dio, nessuno è tenuto ad essere perfetto: persino Piero Angela è juventino. E comunque tutte queste chiacchiere sono solo la premessa ad un episodio che volevo raccontare. Uno fra mille, quello che forse meglio riassume il sentimento che lega me e Valentina.
Una decina di anni fa la portai in aereo per la prima volta. Andavamo a Lisbona, erano i primi giorni di gennaio e Firenze esibiva il suo cielo lattiginoso e tetro degno delle migliori giornate novembrine. Veniva giù una pioggia indecisa e appuntita, che quasi bucava il viso. Ci siamo sistemate nel velivolo e mi sono seduta accanto a lei, lasciandole l'onore del finestrino. Volevo starle vicino. Son convinta che se i fratelli Wright avessero dovuto decollare e atterrare a Peretola l'invenzione dell'aereo avrebbe subito un certo ritardo. Di conseguenza sono sempre molto solidale con chi fa quest'esperienza da ottovolante impazzito per la prima volta.
Si parte e l'aereo rulla sulla pista...
Valentina è tranquilla e molto curiosa. Chiede cos'è questo e cos'è quello, e la sua congenita cautela la porta a prendere il sacchetto di carta dove si presume debba finire il contenuto nel nostro stomaco, nel caso in cui ci rendessimo improvvisamente conto di non essere uccelli. Sempre che si possieda una buona mira.
Ci stacchiamo da terra e le indico il paesaggio circostante perché usandolo come riferimento si renda conto che stiamo decollando, e perché non le venga in mente di guardare la sagoma di Monte Morello che si avvicina minacciosa. Lei è deliziata. E io con lei. Poi ci cominciano a fluttuare accanto i primi brandelli di nubi. Le dico che sono nuvole, perché le nuvole sono fatte di ghiaccio, e la vedo dubitare della mia sanità mentale. Ma si fida e accetta questa realtà stridente con ciò che fino ad oggi per lei erano le nuvole. Tutto diventa bianco sporco e le gocce d'acqua si fissano al finestrino.
E' un po' delusa, Valentina. Mi dice sconsolata "Non si vede niente". Le dico che è questione di momenti, poi le nuvole spariranno. E così è. L'aereo si raddrizza e sotto di noi c'è il mare bianco delle nubi reso luccicante dal sole. Tutto azzurro attorno. Un azzurro impensabile per chi sta sotto. Valentina riesce di nuovo a far combaciare la parola nuvola con l'immagine che ne ha sempre avuto e si sistema rassicurata sul sedile.
"Visto? Adesso siamo sopra alle nuvole e c'è il sole."
"Sopra alle nuvole? Allora qui siamo in cielo?"
"Certo. Siamo in cielo."
Lo vedo passare sul suo viso, quell'attimo di indecisione. Sta formulando un pensiero ma non è sicura. Tante volte l'ho presa in giro quando diceva qualche sciocchezza e adesso è titubante. Poi prevale la fiducia e guardandomi negli occhi, cosa che molto raramente fa, lo dice:
"Allora adesso incontriamo Gesù?"
Non so quante mani inguantate di metallo mi stringano il cuore in questo momento. Non so nemmeno come faccia a non mettermi a piangere considerando il Vajont di lacrime che mi è salito agli occhi. Figuramoci se so dove trovo il fiato per risponderle che no, Gesù non lo vedremo perché nel cielo dove stava lui gli aerei non ci arrivano.
"Ti immagini sennò, con tutti questi aeroplani, povero Gesù? Peggio che alla Fortezza alle sette di sera!"
Valentina ha sorriso. Usa gli autobus da una vita e se c'è qualcosa che conosce bene sono i biblici ingorghi del traffico fiorentino. Il momento è passato e sono riuscita a non ferirla. Prende la rivista dalla tasca del sedile davanti e la sfoglia. Dopotutto, se non c'è da incontrare nessuno quassù, finché non serviranno lo snack non c'è altro da vedere.
Mi rilasso anche io. Forse a me è successo davvero di vedere Gesù sopra le nuvole. In quegli occhi un po' a mandorla, in quella purezza e semplicità assoluta di pensiero, nel dono di quella fiducia e quell'amore senza limiti. Dopo il mio gatto, Valentina è l'unico altro essere vivente che mi ama senza rimproverarmi mai per quello che sono.
Sicuramente per me è più facile, non sono un genitore. Ho sempre preteso molto da lei, forse perché in ciò che le dissi quel giorno dopo la scuola ci credevo davvero. Spero di non offendere la sensibilità di nessuno, ma un'opinione la voglio esprimere anche io. La sindrome di Down ha mille sfaccettature e non esiste una persona Down uguale ad un'altra, e quindi ciò che vale per mia sorella non vale per nessun altro. Ma cercate di non sottovalutare i vostri figli. Neanche per troppo amore. Sono in grado di sorprendervi. Dategliene la possibilità.
Associazione Trisomia 21 Onlus
Chi lo legge questo libro? Persone e sindrome di Down
a cura di
Emiliano Gucci
Mauro Pagliai Editore
Sono particolarmente legata a questo racconto perché dimostra che anche le difficoltà si possono raccontare con il sorriso.
L'ironia è l'arte di essere chiari senza essere evidenti, permette di sdrammatizzare i momenti difficili, di scaricare lo stress e di alleggerire le nostre giornate.
Credo che l'ironia ci aiuti a vivere meglio e sia una parte integrante della nostra vita.
www.at21.it